TOPOLOGIK.net   ISSN 1828-5929      2008, nº 3


Il pensiero di Raúl Fornet-Betancourt

nell’interpretazione di Michelle Becka

Francesca Caputo

Francesca Caputo, dottore di ricerca in "Modelli di formazione. Analisi teorica e comparazione", collaboratrice alla Cattedra di Pedagogia Generale dell'Università della Calabria, ha scritto libri e articoli di filosofia e pedagogia, inclusi saggi e recensioni. I suoi interessi di ricerca fondamentali riguardano le teorie riferite alla sociologia critica (Jürgen Habermas), alla teoria sistemica (Niklas Luhmann), all’etica del discorso (Karl- Otto Apel) e, in particolare, il rapporto etica-pedagogia, non solo in senso comparativo ma anche storico.

1. L’interculturalità nel pensiero di Raúl Fornet-Betancourt

L’opera di Michelle Becka1, collaboratrice alla Cattedra di Etica Teologica presso l’Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte, si configura come una preziosa guida al pensiero di Raúl Fornet-Betancourt.

Lo scopo dell’opera - come viene messo in evidenza dal titolo: Interkulturalität im Denken Raúl Fornet-Betancourts (L’interculturalità nel pensiero di Raúl Fornet-Betancourt) - è quello, infatti, di fornire al lettore uno strumento analitico rigoroso e le categorie di fondo per approfondire la proposta betancourtiana di trasformazione interculturale della filosofia.

Nel dare vita ad un’accurata ricostruzione di questo originale programma filosofico, l’Autrice ha redatto nel primo capitolo una parte biografica (Anmerkungen zu Person und Werk2), in cui fa emergere l’eccezionale spessore intellettuale del filosofo e teologo cubano.

In tale contesto, l’Autrice sottolinea come i differenti luoghi esistenziali, l’esperienza dell’essere straniero ed emigrato in culture diverse, abbiano profondamente influenzato la via all’interculturalità3 intrapresa da Fornet-Betancourt.

In proposito, l’Autrice evidenzia come il polivalente humus culturale che contraddistingue Cuba, paese d’origine di Fornet-Betancourt, abbia orientato metodologicamente l’aspirazione del pensatore cubano ad una filosofia interculturale, che si può comprendere come il tentativo interermeneutico di tracciare un ponte dialettico tra contestualità e alterità, a partire dal problema generale della globalizzazione capitalistica, che rappresenta una minaccia alla vita stessa dell’umanità nella sua diversità contestuale.

Fa ben osservare l’Autrice come lo stesso Fornet-Betancourt consideri il suo paese d’origine Cuba uno stato interculturale, in quanto la cultura cubana è il risultato, da un lato, dell’eredità dei colonizzatori ed emigrati europei e, dall’altro, della cultura ancestrale africana (gli schiavi deportati)4.

La struttura culturale e contestuale al plurale del suo pensiero ha funzionato da volano nel suggestivo progetto di trasformazione della filosofia, reclamato dalla stessa esperienza storica e contestuale dell’America Latina.

Fornet-Betancourt, facendosi interprete di tale esigenza, orienta sin dall’inizio il suo filosofare ai valori della diversità e del pluralismo, finendo con l’ergere l’intercultura a indirizzo della filosofia in generale e a tentare, conseguentemente, non una revisione, ma una trasformazione della filosofia in chiave interculturale.

In termini di episteme, ciò significa riferirsi al criterio dell’intercultura come principio normativo, da tenere sempre presente al fine di accostare distinte prospettive filosofiche, distinte tradizioni culturali, religiose e spirituali, differenti linguaggi, nella cornice della relazione e della convergenza, preservando, nondimeno, le specifiche differenze dei singoli contesti.

Seguendo il criterio metodologico fondamentale dell’interculturalità, nessuna filosofia può assurgere o elevarsi ad un rango superiore rispetto alle altre. In questo modo si evitano, peraltro, e non da ultimo, i rischi di un modello istituzionalizzato di filosofia che si impone, a partire da un determinato dominio culturale, optando, piuttosto, per un’apertura al pluralismo filosofico e al dialogo interculturale.

Resistere alle tendenze etnocentriche, oltrepassare l’individualismo ed i vari localismi e perseguire l’universalismo, inteso fondamentalmente come solidarietà, sulla base dell’interconnessione e dell’intercomunicazione, implica, per Fornet-Betancourt, situarsi in un nuovo livello di razionalità, come base interermeneutica indispensabile per poter comprendere il mondo e la storia.

Per Fornet-Betancourt la posta in gioco è la sopravvivenza stessa dell’umanità nella sua diversità contestuale. La strada da percorrere per rispondere a questa minaccia consiste nel fondere in una prospettiva interculturale contesti di vita e forme di pensiero plurali; si tratta, cioè, di partire dalla propria tradizione culturale e proiettarsi verso tradizioni distinte dalla nostra, arricchendo i nostri discorsi coi discorsi degli altri.

La nuova forma di razionalità, sarà, perciò, interdiscorsiva e la filosofia un processo essenzialmente interermeneutico, inteso come possibilità unificatrice tra le diverse contestualità e le susseguenti differenti alterità in uno spazio comune universalmente riconosciuto, pensato come spazio solidale.

Gli aspetti di una tale trasformazione della filosofia - che Fornet-Betancourt chiama, in sintesi, contestuale ed interculturale - risaltano, in primo luogo, se essi vengono messi in relazione allo specifico contesto politico e ideologico in cui sorgono.

Nei paesi latino-americani il dominio politico, culturale e religioso delle culture coloniali, nei secoli scorsi, ha innescato una potente operazione educativa di addomesticamento, determinando, come conseguenza, profonde lacerazioni a livello di identità individuale e collettiva, insieme all’acutizzarsi dei problemi economici e sociali.

Nel suo distanziarsi critico dal modello capitalistico neoliberale, Fornet-Betancourt mostra che l’interculturalità può rappresentare, nel nostro tempo, un’alternativa essenziale per la costruzione di un mondo senza esclusioni né discriminazioni.

L’avanzata neocolonialistica occidentale – dalla seconda guerra mondiale ad oggi –, insinuatasi in tutti i paesi, in tutte le culture e popoli del mondo, in modo differente, ha gravato e grava, sempre ancora, come una spada di Damocle, sul valore della libertà culturale, linguistica e religiosa, con pesanti rischi in termini di negazione e cancellazione delle diversità.

Sullo sfondo di questo scenario storico, aprire al dialogo con le culture diverse, è un imperativo che accompagna la personalità intellettuale di Fornet-Betancourt e che costituisce anche il momento più fertile nella elaborazione del suo progetto di trasformazione interculturale della filosofia. 

Da Puerto Rico, dopo aver concluso il periodo scolastico, Fornet-Betancourt si  trasferisce in Spagna dove studia Teologia e poi Filosofia nell’Università di Valencia e successivamente in quella di Salamanca. Impegnato nel movimento degli studenti, diede inizio a gruppi di studio (Lektürekreise mit Kommilitonen) sulla filosofia latino-americana. Il suo impegno nel movimento studentesco e la sua opposizione al regime di Francisco Franco portarono, però, alla sua espulsione dalla Spagna. In esilio in Francia, proseguì i suoi studi a Parigi. In questo periodo ebbe modo di frequentare Lévinas, Foucault e Jean-Paul Sartre. Si recò poi in Perù, per due anni, ove collaborò col teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, ritenuto il fondatore della teologia della liberazione

Dal 1972, vive in Germania, ove, nel 1977, ha conseguito il dottorato scientifico nell’Università di Aachen con il lavoro “Die phänomenologische Ontologie bei Jean-Paul Sartre”. Ha conseguito, inoltre, la laurea in Filosofia e Lettere presso l’Università di Salamanca con un lavoro sul Marxismo e nell’Università di Brema l’abilitazione in Filosofia col lavoro: “Ein anderer Marxismus? Die philosophische Rezeption des Marxismus in Lateinamerika”.  Attualmente è professore di Filosofia a Brema ed è professore ospite in università europee e latino-americane.

L’impegno intellettuale di Fornet-Betancourt è incentrato in un’impresa filosofica denominata Programma di Dialogo filosofico Nord-Sud, volta a costruire, nell’ambito della filosofia, uno spazio di scambio teorico che trova nel dialogo interculturale la sua piattaforma fondamentale. I punti-chiave di riferimento, nello sviluppo di questo programma, sono due figure di spicco della riflessione etica contemporanea: Karl-Otto Apel ed Enrique Dussel, che hanno partecipato, in un confronto serrato tra i loro modelli filosofici, ai Seminari organizzati, appunto, da Fornet-Betancourt.

La peculiarità del programma filosofico betancourtiano, che ha nell’interculturalità il suo paradigma centrale, consiste nell’aver integrato le istanze più valide dei due modelli filosofici qui menzionati. È venuta, così, delineandosi una filosofia interculturale intesa, per un verso, come impegno volto a decolonizzare e a decentrare la filosofia, sciogliendola dai tradizionali modelli metafisici e, per altro verso, un modello di filosofia interculturale che rimane legato, inaggirabilmente, alla irriducibile diversità che caratterizza la contestualità storica delle specifiche culture.

L’occasione da cui prese il via questo programma nuovo e per molti versi rivoluzionario risale al 1989, quando Fornet-Betancourt organizzò a Friburgo, in Germania, un Seminario Internazionale dal titolo Philosophie der Befreiung. Begründungen von Ethik in Deutschland und Lateinamerika heute (Filosofia della Liberazione. Fondazione dell’etica in Germania ed in America  Latina oggi).

In modo particolare, il Seminario affrontò la delicata domanda di fondazione dell’etica in una sorta di duello filosofico tra l’etica del discorso e l’etica della liberazione latino-americana.

Il confronto ruotò, come sopra rilevato, intorno alle posizioni teoriche sviluppate da Karl-Otto Apel ed Enrique Dussel, sostenitori entrambi di posizioni filosofiche contrapposte ma, allo stesso tempo, complementari, come il confronto e l’acceso dibattito hanno potuto dimostrare. Da questo primo confronto, a cui seguirono altri, sempre nella cornice del Programma di Dialogo filosofico Nord-Sud, trae linfa tutto il lavoro che Fornet-Betancourt rigorosamente porta avanti e via via approfondisce in una serie articolata e sistematica di testi.

La questione principale, che costituisce il filo conduttore dei Seminari, concerneva la necessità di trovare una risposta alle sfide concrete, sociali e politiche che la realtà storica del mondo pone alla filosofia in generale e, in modo particolare, alla riflessione etica.

Infatti, se il primo Seminario era ancora centrato sul confronto diretto tra  Karl-Otto Apel ed Enrique Dussel, un nuovo percorso si snoda a partire dal secondo Seminario del Programma di Dialogo filosofico Nord-Sud, svoltosi nel marzo del 1991 a Città del Messico. Da questo momento diventano fondamentali, proprio in riferimento al confronto etico che si svolgeva tra Apel e Dussel, i nuovi problemi  posti in luce da una filosofia che parte da un contesto ben distinto: il contesto di povertà ed esclusione della maggioranza della popolazione nei paesi del Terzo Mondo dal processo democratico e dal progresso tecnico-scientifico. 

Si sono svolti, da allora, altri Seminari Internazionali i cui atti sono pubblicati nella Collana Concordia Monographien. Dal 1995 Fornet-Betancourt coordina i Congressi Internazionali di Filosofia Interculturale. A partire da questa stessa data inizia anche un programma di dialogo tra intellettuali cubani dell’isola e dell’esilio.  Nel 1997 dà vita alla collana “Denktraditionen im Dialog. Studien zur Befreiung und Interkulturalität”, specializzata in temi interculturali, con riferimento soprattutto alla filosofia della liberazione.

In uno dei suoi libri più famosi: Trasformazione interculturale della filosofia, Fornet-Betancourt ha messo mano, a partire dall’esperienza concreta dell’America Latina, ad un’operazione di trasformazione della “filosofia della liberazione”, di cui è uno dei più rinomati esponenti, in prospettiva interculturale e interdisciplinare.

La sua impostazione filosofica, pur inscrivendosi in un solco teorico ben determinato, cioè la filosofia della liberazione latino-americana (Fornet-Betancourts Verhältnis zur lateinamerikanischen Philosophie5), presenta, al suo interno, una complessità e ampiezza di riferimenti teorici che vanno da Marx, passando per Jean-Paul Sartre, a Lèvinas e Foucault (Einflüsse europäischer Philosophie6).

Essenzialmente, la filosofia interculturale, sviluppata da Fornet-Betancourt, integra dialetticamente due punti: contestualità e alterità, alla luce di un umanismo critico-etico che costituisce il sottofondo teorico della sua antropologia. Analogamente a Sartre, Fornet-Betancourt definisce l’uomo un singolare universale: unico e differente al contempo, ma, nella differenza, sempre e comunque uomo. Ogni atto dell’uomo, all’interno della sua cultura, è, quindi, sempre anche un atto transculturale.

Come fa notare Michelle Becka7, risiede qui, per Fornet-Betancourt, la possibilità di fondazione dell’universalismo, ovverosia, la possibilità per il soggetto di portarsi oltre la pura e nuda determinazione storico-sociale. In altri termini, anche se la riflessione umana non è scindibile da una determinata situazione culturale, ciò non significa, però, che essa sia un semplice riflesso di questa situazione. L’uomo, per Fornet-Betancourt, è sempre capace di prendere posizione, di distanziarsi, cioè, dal contesto storico specifico, in quanto, come riflessività, ha a disposizione un resto non culturalizzabile che trascende gli universi culturali singoli. L’uomo di Fornet-Betancourt, in quanto riflessività, non soggiace a nessun determinismo culturale; può, invece, sempre e comunque, trascendere il contesto culturale storico e aprirsi alle prospettive del dialogo interculturale.

La contestualità (o storicità) influisce, indubbiamente, sul pensiero, ma non lo determina. Compito della filosofia è fare della realtà oggetto di riflessione e tradurla successivamente in concetti. Ciò significa, peraltro, che filosoficamente si può andare al di là di un puro e nudo determinismo storico-culturale. Indubbiamente, la contestualità è la condizione dell’interculturalità e, come mette in luce Becka, per Fornet-Betancourt, la stessa ragione è contestuale, ciò non toglie, però, che l’interculturalità è al contempo potenziale critico che comprende la contestualità non come un dato definitivo, ma come realtà da interrogare8.

In altri termini: nonostante le contestualità, le culture non solo possono comunicare, ma aprirsi al dialogo interculturale. Le culture sono certamente espressione della loro storicità e contingenza, per cui, ovviamente, ogni dialogo presuppone, anzitutto, il riconoscimento di queste contestualità, ma il dialogo non si arresta affatto al puro e semplice riconoscimento. Per comprendere l’altro, nessuno può comprendere se stesso come un assoluto. A ben vedere, nella disponibilità ad interrogare se stessi risiede la reale possibilità inter-trans-culturale del dialogo e della stessa comunicazione.

È indubbio che gli esseri umani sperimentano il tempo e lo spazio in modo diverso. Non da ultimo, ciò spiega il fatto secondo cui la filosofia interculturale è, sempre o per lo più, una filosofia di “regioni” che comunicano fra di loro. Ciò è tanto più necessario quanto più avanza il processo imperialistico di globalizzazione al cui interno l’intreccio di poteri politici, economici e culturali s’impone fin negli angoli più sperduti del pianeta.

In una situazione di crescente trasformazione imperialistica del capitalismo, compito della filosofia interculturale è, anzi e soprattutto, il dar voce alla pluralità dei contesti per impedire una colonizzazione del mondo attraverso il capitale. Non vi sono dubbi, che i soggetti di questa colonizzazione non sono più i singoli Stati, ma le multinazionali9. La globalizzazione si rivela, allora, come una totalizzazione, a cui tutti sono costretti, che cancellerebbe gli spazi regionali o locali, le contestualità o le singole culture.

In questo scenario di crescente cancellazione delle singole culture, la filosofia interculturale rivendica un accesso al plurale al mondo e all’uomo. Non si tratta solo di tollerare forme diverse di pensiero, ma di essere solidali con queste forme differenti. La pluralità culturale è un bene che va difeso e ogni popolo ha diritto ad una propria cultura. Ma questo diritto è messo a rischio dal processo incessante di globalizzazione.

In questo senso, e come si faceva notare sopra, per Fornet-Betancourt, la contestualità non impedisce l’universalità, se si intende quest’ultima come solidarietà in cui le differenti contestualità sono l’un l’altra legate10, ma ne costituisce la sua condizione di possibilità.

Il recupero della contestualità è un compito filosofico che si conforma ai concetti di alterità e solidarietà, più che mai urgente oggi rispetto alle questioni poste in essere dal contesto mondiale attuale, attraversato dal fenomeno della globalizzazione, come i rischi riferiti al dominio culturale del pensiero unico globale o del fondamentalismo del mercato. Solo fondendo in una prospettiva interculturale le diverse contestualità, è possibile evitare il rischio di sacralizzare un unico modello culturale e di cedere alle sue tendenze etnocentriche.

Riassumendo:

L’operazione di trasformazione della filosofia in chiave interculturale permette a Fornet-Betancourt di prendere distanza dal paradigma di tipo occidentale etnocentrico, monoculturale e dalla sua universalità astratta, riscattando il compito critico-liberatorio della filosofia in ordine ai molteplici problemi del mondo di oggi, minacciato dall’espansione di un modello capitalistico di tipo neoliberale.

Questa messa a fuoco della filosofia non è solo condizione di incontro e orizzonte di dialogo tra una pluralità di mondi (di qui il suo carattere interculturale), ma anche di scambio e confronto tra la polivalente tessitura di linguaggi: scientifico, filosofico, religioso (di qui la sua architettonica interdisciplinare).

Una tale fondazione della filosofia si propone di preservare il pluralismo culturale e l’interdisciplinarità come fusione tra distinti linguaggi.

La sua prospettiva filosofica, proprio perché si impernia sui princìpi dell’interculturalità e dell’interdisciplinarità,  si concepisce come un programma strettamente interagente con le diverse contestualità e le susseguenti differenti alterità.

In nome di questa articolazione contestuale e plurale della filosofia, in base a cui le distinte prospettive culturali, religiose e i differenti linguaggi non possiedono un valore o una finalità ultima, si alimenta la reciproca conoscenza, la collaborazione, la cooperazione a tutti i livelli, avvicinando, così, formule e modi di vita e di pensare differenti.

In questo rapporto e in questo confronto al plurale si tratta, soprattutto, di attivare le possibilità di solidarietà e liberazione: lavorare ad un autentico e fruttifero dialogo filosofico fra culture e ad un loro sviluppo dignitosamente umano; liberare i poveri e gli oppressi da strutture economiche e politiche ingiuste.

Dialogo filosofico fra culture vuol dire affermare il nostro pensiero nel dialogo con altre culture e tradizioni, quindi in un’ottica armonizzante tra le diverse contestualità e le susseguenti differenti alterità, in termini di interrogazione e autointerrogazione. È proprio la valutazione critica e autocritica il passaggio chiave per mezzo del quale ogni cultura può crescere e fortificarsi, nonché prevenire ed evitare i rischi del fondamentalismo o dell’uniformità, che distruggono i princìpi delle singole culture e del dialogo interculturale.

 

Note:

1 Michelle Becka, Interkulturalität im Denken Raúl Fornet-Betancourts, Verlag: Bautz, Traugott; Auflage: 1 (23. Januar 2007).

2 Ivi, p. 13.

3 Cfr. ivi, p. 14.

4 Cfr. Ibidem.

5 Ivi, p. 22

6 Ivi, p. 17

7 Cfr. ivi, p. 66

8 Cfr. ivi, p. 70

9 Cfr. ivi, p.76

10 Cfr. ivi, p. 74


 

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2008, n°3